di Franco Astengo
“A Campanassa” compie 100 anni.
La Città si riconosce, recupera la storia di quel ‘900 che ne ha segnato la grande trasformazione da città industriale e portuale a una faticosa ricerca di identità, oggi fondata soprattutto su di una nuova immagine e su di un ardito recupero di priorità della funzione culturale.
Dentro a questa storia, ben connessa con la vita quotidiana e le aspirazioni dei suoi cittadini, c’è da sempre lo sport.
La sua storia, le vicende complesse ed esaltanti e le figure che lo hanno percorso: quelle di savonesi che hanno saputo emergere fino al contesto internazionale oppure che, semplicemente, si sono dati da fare sul nostro territorio per far sì che la gioventù potesse esercitarsi nelle discipline più nobili per illuminare, ciascuno per il suo tempo, la propria epoca.
La nostra memoria origina agli anni’50 del XX secolo, più o meno 70 anni fa. Ritorniamo al tempo in cui lo sport savonese era davvero, in larga parte, uno sport “minore”, nel senso che i giovani vi si impegnavano a fondo, ma pochissimi ne anteponevano la pratica allo sport e al lavoro.
Savona viveva, in quel tempo, gli ultimi fuochi della sua antica storia industriale e lo sport rappresentava uno dei maggiori fattori di riconoscimento della Città in sé stessa.
Era una città che amava i suoi atleti circondandoli anche un poco del mito che circostanze particolari avevano contribuito ad alimentare: da Sahner vincitore della natatoria “Traversata della Senna” (teatro della sfilata olimpica 2024), a “Niculin” Beviacqua l’omino vincitore dei giganti finlandesi nella loro terra, a Felice Levratto sfondatore di reti (e di portieri) a Valerio Bacigalupo caduto nell’immane rogo di Superga.
Ma le famiglie non pensavano allo sport come veicolo di promozione economica e sociale, ad impedirlo era l’etica operaia: nessuno proclamava i propri virgulti campioni senza conoscerne temperamento, attitudine, propensioni.
Le famiglie seguivano certamente la passione dei loro ragazzi ma la “sobrietà” della vita di allora imponeva un rigore e un atteggiamento che non era quasi mai di esaltazione, anzi il più delle volte era di sereno e affettuoso “distacco”.
Qualcosa è rimasto di quel tempo lontano nella “savonesità”, perché oggi nel cercare di recuperare, sia pure in maniera assai approssimativa, una storia dello sport savonese come flusso di vicende di riconoscimento collettivo nella vita della Città ci tocca un compito davvero inusuale: quello di ribaltare le gerarchie consolidate e stabilite dai mezzi di comunicazione, dalla pubblicità, dal rutilante mondo dell’immaginario che sostituisce il concreto della vita reale.
Infatti al primo posto di una discorso riguardante lo sport savonese non è più possibile collocare il calcio: quel Moloch cui, in tutto il mondo, sacrificano milioni di tifosi attorno ad un rito che ormai ha perso il fascino domenicale ed è diventato ossessione quotidiana imposta dagli schermi (in tutte le loro accezioni tecnologiche) portando con sé tutte le contraddizioni di una esasperante “kermesse” della quale non si intravvedono più margini e confini soprattutto sotto l’aspetto economico e di una vera e propria “idolatria del divismo”.
In questo primo quarto del XXI secolo a Savona gli sport natatori e più precisamente la pallanuoto e il nuoto artistico hanno sopravanzato il calcio nel rapporto con la Città, nel livello di proiezione internazionale, nella capacità di rinnovare la propria struttura mantenendola ai massimi livelli
È d’obbligo quindi avviare un modesto racconto della storia dello sport savonese partendo dall’acqua, quell’acqua sulla quale si compiono rotte straordinarie come quella della Rari Nantes Savona.
Grazie ad una antica intermediazione dei fondatori, da Giovanni Selis a Gigi Faucci a Settimio Pagnini (del quale più avanti sarà necessario riferire anche della storia del basket di cui è stato il promotore e l’esegeta per tanti anni), abbiamo già narrato tante volte la storia delle prime partite giocate in mare davanti alla Lega Navale di Lungomare Matteotti, poi il trasferimento alla piscina Aurelia ad Albissola Marina dove mosse le prime bracciate un personaggio decisivo della nostra storia come Claudio Mistrangelo e successivamente il trasferimento nella nuova piscina al Prolungamento nel luogo in cui nel ventennio sorgeva “l’opera Balilla”, infine la collocazione ideale nell’impianto di Corso Mazzini intitolato a Carlo Zanelli, Sindaco Storico, sportivo di razza (portiere della Veloce, presidente della Fratellanza Ginnastica).
Certo che pensare a Carlo Zanelli e a Settimio Pagnini (cui è intitolata la Palestra Coni) come i titolari di targhe dal punto di vista personale appare davvero come il tramonto di un’epoca: con loro (e con tanti altri) si è collaborato, vissuto, scritto nel pieno della loro attività sulle colonne di “Riviera Notte” con Marco Sabatelli, Luciano Angelini, Nanni De Marco, Enrico Fabbri e adesso si è costretti a rifugiarci nel meandro dei ricordi.
Torniamo alla pallanuoto: scudetti, coppe europee, giocatori come Estiarte e Ferretti che hanno indossato la calottina bianco rossa.
Nella storia Alberto Angelini, attuale allenatore della squadra capace di riportarla nel vivo della lotta per lo scudetto e nella Champions League: vale la pena dare un’occhiata alla sua carriera.
Dal 1991 al 2008, ha collezionato 421 presenze con la calottina del Settebello del quale è stato anche capitano. Ha partecipato a 4 edizioni olimpiche: Atlanta 1996, dove ha conquistato la medaglia di bronzo nella storica vittoria contro l’Ungheria; Sydney 2000; Atene 2004 e Pechino 2008. Questo soltanto limitandoci alle partecipazioni olimpiche e tralasciando titoli italiani e coppe europee vinte con la nostra Rari Nantes, la Roma e la Pro Recco.
Non si possono dimenticare i dirigenti, dall’appassionato presidente Daniele Polti al direttore sportivo (già presidente) Giuseppe Gervasio che, assieme alla creatrice della scuola di nuoto artistico, Patrizia Giallombardo rappresenta Savona anche ai vertici della Federazione Nuoto.
L’altra perla della “collana acquatica” che illumina la vita sportiva di Savona è rappresentata dalla squadra di nuoto artistico, una specialità difficile soprattutto per un altissimo livello della concorrenza internazionale nelle occasioni olimpiche.
Una scuola, quella savonese, creata da Patrizia Giallombardo che ormai da molti appuntamenti a cinque cerchi rappresenta l’ossatura della squadra nazionale.
In questi giorni si è ritirata dall’attività agonistica quella che è stata per tanti anni la punta di diamante di questa squadra: una grande atleta e una donna coraggiosa capace di rivendicare la sua personalità senza fare sconti al conformismo dilagante.
Scriviamo di Linda Cerruti, un simbolo nel nuoto artistico italiano, protagonista in 4 olimpiadi: Londra 2012, Rio de Janeiro 2016, Tokio 2021 e Parigi 2024.
Anche l’atletica leggera appare come sport primario a Savona e intorno a Savona: una storia leggendaria quella di “Niculin” Beviacqua che abbiamo già citato, il fondista operaio dell’Ilva capace di arrivare secondo ai campionati europei a Parigi nel 10.000 metri e finalista nelle Olimpiadi di Berlino del 1936, quelle del gigantismo nazista, prima di lui Castelli nella staffetta di Los Angeles 1932, altri nazionali come Roveraro primo italiano a scavalcare i 2 metri nel salto in alto fino a Furio Fusi olimpionico a Città del Messico 1968, le Olimpiadi del grido di rivolta di Smith e Carlos.
L’atletica savonese è ormai in grande ascesa fin dagli anni ’90 del XX secolo grazie alla “scuola ingauna” creata da Peo Astengo capace di sfornare olimpionici ad ogni tornata: Ezio Madonia, Emanuele Abate, Luminosa Bogliolo. Scomparso improvvisamente il fondatore, Ezio Madonia ha saputo raccoglierne il testimone e anche a Parigi con Ilaria Accame nella staffetta 4X400 si è registrata una presenza eccellente.
L’altro lato della virtù atletica savonese è rappresentato dall’annuale svolgimento del meeting “Città di Savona” su quella pista della Fontanassa ormai ritenuta “magica” per i velocisti dove Jacobs, Ali, Tortu hanno iniziato anno per anno le loro stagioni migliori con un viatico dovuto a prestazioni straordinarie.
Marco Mura è stato il principale protagonista di questa avventura che consente a Savona di rimanere in primo piano nell’attività atletica nazionale e internazionale.
La storia del calcio savonese (finalmente ci siamo arrivati!) è una storia che affonda le sue radici nei primordi della storia del calcio italiano.
I primi segnali di pratica del gioco risalgono al 1892, nell’anno seguente ancora in precedenza alla fondazione del Genoa nobili e borghesi provenienti da Torino e primi praticanti sul nostro suolo nazionale affrontarono sul terreno della Piazza D’Armi una rappresentativa di marinai inglesi (vincendo 2-1).
Nel 1898 attivo lo Sport Club Savona e nel 1907, 20 giugno data fatidica, la fondazione della “Sezione Giochi” della Fratellanza Ginnastica (nonna e madre dello sport savonese) da cui deriverà per filiazione il Savona FBC in quel 1914 nel corso del quale il sodalizio bianco blu partecipò al campionato di Divisione Nazionale.
La storia del calcio savonese non può però essere limitata a quella del Savona FBC: va ricordato lo Speranza (la squadra dei ragazzi di periferia, Fornaci e Zinola) capace di competere per tutti gli anni’20 ai massimi livelli per poi essere stroncato dal fascismo per via della “anomalia” politica dei suoi dirigenti come avvenne poco tempo dopo per la Veloce, ripresa nel dopoguerra e arrivata negli anni’50 a imporre per un breve periodo una propria supremazia cittadina.
Attive ai giorni nostri Priamar (l’antica insegna aperta dall’indimenticabile Don Vittorio Dietrich), Letimbro, una rinnovata Speranza e il Legino fondato negli anni’80 dal sempiterno presidente Piero Carella, sede di incontro di un floridissimo settore giovanile dal quale è uscito un protagonista del calcio a tutti i livelli come il romanista Stephen El Shaarawy.
Torniamo alla storia del Savona FBC: storia gloriosa e tormentata che si può suddividere in due fasi, prima di Catania e dopo Catania. Ci riferiamo all’infausta retrocessione dalla Serie B avvenuta nella tarda primavera del 1967 interrompendo un ciclo che partendo dall’ultima stagione giocata sul vecchio campo di Corso Ricci e dal trasferimento a Legino, grazie soprattutto all’opera infaticabile di Stefano Del Buono (e al suo grande fiuto calcistico) aveva portato finalmente al ritorno nella cadetteria, serie nella quale gli “striscioni” (questa la vera denominazione giornalistica, al di là dell’invenzione recente di “vecchio delfino”) aveva già militato negli anni ’40 sfiorando la serie A.
Una serie di storie tormentate quelle legate al Savona FBC (la misteriosa sconfitta casalinga con il Modena che nel 1941 costò la Serie A, la costruzione del nuovo stadio legata al delitto Martirano, uno dei gialli che più appassionò l’Italia di allora, quello dell’uomo dall’abito blu, l’improvvisa scomparsa avvenuta allo stadio del nuovo mecenate Fausto Gadolla) , di grandi campioni primo fra tutti il portiere dell’invitto Grande Torino Valerio Bacigalupo, e di bandiere come Valentino Persenda (11 stagioni), Roberto Longoni e Giulio Mariani che non possono essere dimenticati anche se altri nomi pungono sulla nostra tastiera: Giancarlo Tonoli, Ciccio Varicelli, Nanni Ciglieri, Andrè Galindo per rimanere nella nostra cerchia di savonesi o di “importati” diventati savonesi d.o.c.
La storia successiva è storia di progressivo, lento ma inesorabile, distacco della simbiosi tra Città e squadra: con qualche impennata, pensiamo alla Coppa Italia Dilettanti vinta nel 1991 dalla squadra organizzata da Enzo Grenno e allenata da Luigino Vallongo, allo spareggio perduto in vetta alla Serie D (avversaria l’Oltrepò) dalla compagine diretta da Corrado Orcino, forse uno degli ultimi interpreti di una genuina savonesità calcistica.
Successive promozioni e retrocessioni si sono susseguite con un minore impatto emotivo e una sempre più ristretta cerchia sociale di riferimento e fallimenti vari fino alla tragedia dell’estate 2020 con la mancata iscrizione della squadra al campionato di Serie D.
Da allora la storia si è interrotta nonostante vari tentativi tutti limitati al livello dilettantistico della prima categoria (un campionato interprovinciale): adesso un nuovo gruppo è riuscito a rilevare l’antico marchio e ad esso bisogna guardare con rinnovata fiducia anche se il nodo più spinoso rimane quello della rovina di quello stadio a Legino che per noi rimarrà per sempre “il campo nuovo” alla cui inaugurazione ( 6 settembre 1959) partecipammo con stupita ammirazione.
Ci rimane poco spazio con tante storie da ricordare.
Il basket fondato nel 1946 con la Cestistica Savonese frutto di una fusione tra Lancia e ASSU avvenute nello storico Bar “Euterpe” di via Niella sede dei musicofili e portato avanti da Settimio Pagnini dal tempo in cui si giocava in piazza e nel salotto di Sisto IV si giocarono stupendi tornei internazionali.
La pallavolo, in realtà nata ad Albissola su impulso di Angelo Besio, che proprio in queste Olimpiadi di Parigi 2024 ci ha regalato la presenza di Ilaria Spirito anch’essa proveniente dalla terre delle “jatte” e delle “pignatte”.
L’hockey su prato, pupilla di un altro indimenticabile “motore” di tutto lo sport savonese come Eliseo Colla (professore di educazione fisica al Liceo Chiabrera, allenatore di calcio diplomato a Coverciano e dirigente di una serie infinita di società sportive).
Il Savona HC e il Liguria HC (promosso dal figlio di Eliseo, Carlo) hanno lottato a lungo nelle massime categorie e adesso il Savona dai colori biancoverdi, del quale è necessario ricordare l’opera di dirigenti come Luciano Pinna e dello scomparso Maurizio Mearelli promotore di una sezione parolimpica di alto livello, è tornata nella serie A1 della specialità indoor, mentre in quella outdoor lamenta da decenni l’assenza di un idoneo campo da gioco ed è costretta a recarsi a Genova per gli allenamenti e le gare casalinghe di campionato.
Non si possono dimenticare le bocce, a lungo lo “sport del popolo” con le squadre di fabbrica (Italsider, Scarpa e Magnano) e dei Portuali: sport oggi il cui vessillo è tenuto in alto dall’Associazione Bocciofila Savonese guidata da Alessandro Gugliotta; la ginnastica artistica fulcro dell’attività della FGS nel ricordo di indimenticabili istruttori come Frau e Cravero.
In tempi lontani fu formidabile l’attività della lotta greco-romana (con campioni italiani come Rubio, Turco, Granaiola e nazionali come Pinuccio D’Anna) e del sollevamento pesi sempre sotto l’egida della Fratellanza Ginnastica Savonesi.
Momenti di alto livello anche per il pattinaggio artistico a rotelle con le squadre della Veloce e del Dopolavoro Ferroviario e un campione italiano Roberto De Benedetti vincitore del titolo più volte nei primi anni’60 quando fu costretto, per l’assenza in città di impianti idonei a preparare gare di alto livello, a trasferirsi alla Forza e Costanza Brescia, la più forte società italiana.
Non dimentichiamo la squadra di rugby oggi militante in Serie B e fondata negli anni ’80 sul campo di Valleggia e i Pirates del foot-ball americano specialità di grande difficoltà tecnica e fisica, mentre il baseball lanciato dal notaio Zanobini nel 1972 giocando anche alcuni tornei nello stadio Bacigalupo è ormai stabilmente emigrato a Cairo Montenotte.
Riassumiamo infine ricordando alcune figure di olimpionici che fin qui non sono stati citati:
Giuseppe Olmo, di Celle; che nel 1932 conquistò a Los Angeles la medaglia d’oro nella prova a squadre di ciclismo a fianco di Pavesi (vincitore della prova individuale), Segato e Cazzulani;
Felice Levratto, calciatore in forza al Vado, che a Parigi nel 1924 , unico giocatore di categoria inferiore schierato da Pozzo in maglia azzurra, impressionò tutti per la potenza del tiro (Levratto, passato al Genoa, disputò anche l’Olimpiade di Amsterdam quattro anni dopo, quando la squadra italiana vinse la medaglia di bronzo, dopo aver perduto un’epica semifinale con l’Uruguay per 3-2) . La potenza di tiro di Levratto diventò proverbiale e addirittura oggetto del testo di una canzone (Che centrattacco!). Levratto, scomparso prematuramente nel 1968, si era poi dedicato con grande passione e competenza all’allevamento dei giovani curando per molte stagioni il vivaio del Savona FBC, dopo aver svolto le funzioni di “trainer” con Fulvio Bernardini direttore tecnico nella Fiorentina per la prima volta campione d’Italia nel 1956. Levratto allenò anche altre squadre: Messina, Cavese, Cuneo, e dalle nostre parti Nolese e Veloce.
Carlo Fregosi, componente della squadra di ginnastica maschile alle Olimpiadi di Londra 1908 medaglia d’oro capitanata dal celebre Alberto Braglia (savonese d’adozione: aveva infatti indossato anch’egli la maglia della nostra “Fratellanza”), con lui era presente anche l’ingauno Salvi (morto ad Auschwitz nel 1944),. Fregosi era poi apparso, con minore fortuna, anche alle Olimpiadi di Anversa del 1920.
I tiratori alla fune Luigi Schiappapietra e Rodolfo Rambozzi presenti alle Olimpiadi di Anversa del 1920.
L’altro calciatore Rinaldo Roggero, l’ala più veloce del Savona FBC, schierato titolare nella partita vittoriosa sulla Norvegia (2-1, con lui esordì in nazionale anche il celeberrimo “Viri” Rosetta).
Lo schermidore Giorgio Faldini protagonista a Berlino 1936.
I velisti Carattino, Spirito, Zucchinetti, Ghirardi (Helsinki ’52, Melbourne ’56, Messico ’68, Montreal ’72.
I lottatori Cavallero e Giuria (Parigi ’24).
Più recentemente nel filone natatorio: il pallanuotista Andrea Pisano (Seoul 1988) e le “sincronette” Serena Bianchi (Atlanta ’96 e Sydney 2000), e Alice Dominici (Sidney 2000).
Ancora: Costanza Ferro nel nuoto artistico compagna di coppia di Linda Cerruti (Tokyo 2021) e Sofia Mastroianni (Parigi 2024); la presenza di Matteo Aicardi nella squadra di pallanuoto ( a Parigi erano presenti Nicosia e Bruni non savonesi ma giocatori della Rari) ; i piazzamenti di Chiara Rebagliati nel tiro con l’arco a Tokio 2021 e a Parigi 2024.
Una sfilata di campionesse e campioni nella speranza di non essere incorsi in clamorose omissioni (Christian Panucci fu fermato da un incidente e non potè partecipare alle Olimpiadi di Atlanta ’96).
I tempi cambiano e la nostra è stata una cavalcata a metà strada tra nostalgia e attualità: mentre la piscina del Prolungamento si sta trasformando in una palestra di skateboard, quale vero e proprio segno dei tempi non possiamo ripetere il vecchio motto “si stava meglio quando si stava peggio” semplicemente perché la stagione della nostalgia di oggi coincideva con quella della nostra gioventù, in un ricordo benefico per il cuore e per la mente.